1 ottobre 2010

Cronache estensi, parte 1: Informazione e potere, l'anomalia italiana

L'Italia è un paese strano, paradossale, un paese anomalo da molteplici punti di vista. L'aspetto più profondamente anomalo riguarda la divisione dei poteri, base delle liberaldemocrazie occidentali dalla loro fondazione, ma principio che in Italia fa fatica a diventare prassi. Anche l'informazione, il quarto potere dopo il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, questo potere recente come il Novecento, non è escluso da questa malattia, dall'essere cioè anomalo.

Proprio di questa anomalia hanno parlato quest'oggi, nel primo dei dibattiti che il Festival del Giornalismo organizzato da Internazionale ha in programma, un dibattito a cui hanno partecipato, ex poltrona, Antonio Padellaro, direttore della realtà giornalistica più interessante di quest'ultimo anno in Italia, il Fatto quotidiano, e tre corrispondenti esteri in Italia, Alexader Stille, Miguel Mora e Gerhard Mumelter.

Dal dialogo tra i quattro sono emersi alcuni dei più importanti e problematici nodi del giornalismo italiano, nodi complessi, per dirimere i quali è necessaria una dose di attenzione che solo i più complessi labirinti richiedono. Primo tra tutti l'Ossessione Berlusconi, quella strana e in parte giustificabile malattia che, come un tumore, ha riempito la quasi totalità della stampa italiana - televisiva, cartacea e digitale - mettendo fuori fuoco i reali problemi di questo paese, una irrimediabile e continua attenzione, quasi morbosa, per fatti marginali, per "piccole scaramucce di retroguardia", come le avrebbe chiamate Franco Fortini. 

Piccole scaramucce, certo, energia inutile spesa per seguire un baraccone, quella della politica italiana, che da anni assomiglia più a un circo o ad un teatrino dell'assurdo piuttosto che ad una vita politica sana e moderna. Ed è proprio questa anomalia, questa malattia strettamente dipendente dall'Anomalia per eccellenza del nostro paese, vale a dire quella commistione di poteri economici e politici rappresentata da Berlusconi e inconcepibile in qualsiasi paese "normale", a creare nel pubblico, in quei 1500 – così si diceva un tempo – lettori di giornali una quasi definitiva e pericolosissima disaffezione al discorso politico che è probabilmente alla base del declino del nostro paese.

Come risolvere questa situazione? Di certo non è facile, come di certo non esiste una "cura" specifica, una pozione che al pari di quella che trasformava Asterix in un imbattibile guerriero, possa riportare un corpo malato come quello del giornalismo italiano alla salute che non solo merita, ma di cui il paese ha maledettamente bisogno. 

E se Padellaro propone come via quella che sta percorrendo con il suo piccolo esercito di validi giornalisti nell'avventura del Fatto, vale a dire quella di un giornalismo senza padroni e senza sponsor, capace di tirare avanti esclusivamente grazie al suo pubblico – in un ritorno alle origini del giornalismo che non può che far bene alla professione – dal pubblico arrivano proposte che solo in Italia sembrano rivoluzionare, prima tra tutte quella dell'abolizione dell'Albo, retaggio di una cultura più corporativista che democratica.

Insomma, se gli interrogativi emersi quest'oggi sull'indipendenza del giornalismo dal potere sono tanto numerosi da renderne difficile l'enumerazione, le risposte, almeno per ora, sembrano latitare. Ma forse non serve andare a cercare molto lontano, forse la soluzione, come la lettera rubata di Poe, è già alla nostra portata, forse già tra le righe che state leggendo: la strada dei blog, della rete, l'unica realtà che, in questo mondo di collusioni di potere e di controllo dei mezzi di comunicazione, respira ancora l'aria fresca della libertà.


Pubblicato su Polisblog.it

31 maggio 2010

Esperimento dadasintetico #1

Ahi, serva Italia di dolore ostello,
povera patria,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
schiacciata dagli abusi del potere,
non donna di province, ma bordello
di gente infame, che non sa cos'è il pudore,
Italia dimenticata e Italia da dimenticare,
l'Italia metà giardino e metà galera.
Dove sono i tuoi figli? Odo suon d'armi
e di carri e di voci e di timballi,
e intanto fugge questo reo tempo
questo secol di fango o vita agogni
E sorga ad atti illustri, o si vergogni.

Up patriots to arms, engagez vous

(Dante - Battiato - De Gregori - Leopardi - Foscolo)

pubblicata su La loggia dei poeti sintetici dadaisti, gruppo facebook che vi consiglio assolutamente!

19 febbraio 2010

Fugaci i sistemi come schiuma: l'Apocalisse secondo Jack London

Alla moltitudine di lettori cui fa comodo tenere Jack London nella tranquillizzante gabbia della letteratura destinata agli adolescenti, la lettura di un testo come La peste scarlatta non può che far bene. Perché questo racconto lungo, pur nella sua dimensione di scritto minore, contiene in sè alcuni dei tratti tipici di Jack London di cui quella moltitudine troppo spesso si dimentica: la capacità di ritrarre la violenza e il cinismo della società umana, la desolante solitudine dell'uomo, l'irriducibilità della natura a pacifico sfondo delle vicende umane, tratti che lo ascrivono a pieno diritto nel Canone della Modernità.
Ambientato negli anni '70 del XXI secolo in una California post-apocalittica, ridotta a Waste Land dopo la scomparsa della quasi totalità del genere umano, avvenuta nel 2013 a causa di un germe mortifero, La peste scarlatta è un racconto che si giustifica nell'oralità. Si configura infatti come una narrazione orale, una testimonianza che il Vecchio, l'ultimo esponente della generazione che ha assistito all'apocalisse e le è soppravvisuto, racconta al “branco” dei nipoti.
Come gli uomini che popolano la landa desolata che una volta era la California, vestiti di pelli d'orso o di pecora e armati di archi e frecce, la narrazione del Vecchio ha i caratteri della primitività, una primitività che trova la sua sede naturale nel linguaggio, un inglese semplificato, immagine svilita dell'antica lingua inglese, corrotta da 60 anni anni di vita selvaggia. Un linguaggio a cui il Vecchio, ex professore di Letteratura Inglese alla Università della California, è obbligato, pena l'incomunicabilità con i nipoti, ai quali si ritrova a spiegare termini come “denaro”, “istruzione”, “scarlatto”, che nel loro nuovo idioma, la cui referenza è una realtà selvatica e primitiva, non hanno alcun senso.
Ma quello dell'incomunicabilità  linguistica non è l'unico contrappasso che il Vecchio deve scontare, e non è nemmeno il più cocente, perché ancor più  cocente riusulta essere il contrappasso sociale. L'avvento del germe mortifero, infatti, ha resettato le differenze sociali, le ha sovvertite. E così la moglie di uno dei Magnati dell'Industria, la donna più ricca e potente del mondo, sopravvissuta alla catastrofe, è diventata la donna-schiava di un Autista burbero e incolto, mentre lui, il Vecchio, che fu un colto e raffinato professore universitario, deve accontentarsi di una semplice e illetterata domestica.
L'Apocalisse, incarnata dalla peste scarlatta che ha sconvolto il mondo, ha spazzato via una società ingiusta, che traspare in tutto il suo cinismo ipocrita dai discorsi del Vecchio:
“Chi ci procurava da mangiare era chiamato uomo libero. Ma solo per scherzo. Noi della classe dirigente possedevamo tutta la terra, tutte le macchine, tutto. Chi ci procurava da mangiare era nostro schiavo. Prendevamo quasi tutto il cibo che ci procuravano e gli lasciavamo quel minimo bastante per sfamarsi, lavorare e procurarci altro cibo...”
Una società arrogante, ipocrita, schiavista, nel cui cinismo il lettore non può non notare, come in uno specchio, il nitido riflesso dei caratteri dominanti della nostra epoca, terribilmente vicina al 2013, che casualmente oltrepassa solo di un anno quel 2012 a cui i superstiziosi guardano con timore. Una società che, come la nostra, si credeva al di sopra della natura, ma che era destinata, come tutto, a finire.
“Fugaci i sistemi come schiuma”, ripete spesso il Vecchio, intercalando al suo racconto il verso di un poeta californiano d'inizio Novecento. Un verso che, soprattutto di questi tempi, sarebbe il caso di tenere a mente.

Pubblicato su Colibrì (Periodico dei Soci di Festivaletteratura di Mantova)

20 ottobre 2009

...

come un esule su un'isola deserta
ogni mattina guardo i flutti tumultuosi
e aspetto
un naviglio che mi porti la notizia
del dittator la dipartita