21 marzo 2004

Una malattia

La malattia lo colse alla giovane età di trentasei anni e, in pochi giorni, se lo portò via. I primi sintomi gli si presentarono in uno dei primi giorni di un novembre piovoso e, se inizialmente erano blandi, pressoché insignificanti, giusto qualche linea di febbre e una leggera sensazione di torpidità, nel giro di qualche giorno appena, quei piccoli segnali di malattia s’ingigantirono, trasformandosi in un peso insopportabile per la sua vita.
Quella mattina si era svegliato alle prime luci dell’alba, il sole autunnale, assediato da nuvole bianche, si infrangeva, inutilmente tiepido, sull’asfalto bagnato. Il silenzio regnava per le strade interrotto sporadicamente da qualche clacson. Fu giusto uno di quei rumori sporadici che lo destò. Si stropicciò gli occhi e guardò l’orologio. Richiuse le palpebre stanche, era fin troppo chiaro che aveva voglia di dormire.
I muri tornarono alberi e il letto ridivenne barca, il pavimento di moquette blu si ritrasformò in fiume e l’uomo ridivenne dio, allo stesso tempo schiavo ed artefice dei suoi sogni.
Come capita a molti al ridestarsi dai sogni, quando riaprì gli occhi, si ritrovò straniero in un presente fin troppo reale, erano passati pochi minuti per il mondo, ma nella sua mente erano trascorsi millenni. Si trovava supino e gli bastò un secondo, giusto un timido tentativo di movimento per capirsi immobile. Tentava di spostare una gamba, un dito, un solo muscolo, ma quelli che erano sempre stati centimetri divennero chilometri. Anche il bicchiere di vetro sporco, immobile da sempre sul comodino, gli sembrava irraggiungibile.
Convinto di vivere in un sogno chiuse di nuovo gli occhi, vincendo o credendo di vincere quell’assurda sensazione di pesantezza. Si vide destarsi, spostare il suo corpo pesante dal letto sfatto, bere dal bicchiere sporco, andare a lavoro. Si vide in una delle tante giornate d’inverno, vissute milioni di volte negli ultimi anni, il suo ufficio ordinato, le pratiche innumerevoli che lo assediavano da una vita, la pausa pranzo, l’unico suo momento libero dalle scartoffie quotidiane. Si vide tornare a casa, a giornata finita, incontrare la vecchia Hilde, comprare del pane, del latte e rincasare. Si vide infine addormentarsi e ricominciare a sognare, tutto era tornato normale, la mattina seguente si sarebbe svegliato e la sua vita avrebbe ripreso a scorrere come sempre.
Il mattino dopo si svegliò stanco, guardando la sveglia. Fece per riaddormentarsi, ma quella mattina la sua coscienza lo destò. Alzandosi la sua ombra non lo segui, ma lui non se ne accorse, gli occhi erano spenti, socchiusi. I passi lenti lo portarono incerti alla doccia.
Andò al lavoro a piedi, la bici era sparita, forse dimenticata, forse spostata da una divinità malvagia o forse mai esistita. Iniziò a camminare e le strade divennero vicoli, l’alba crebbe a giorno, ma quei vicoli, i vicoli di sempre, gli sembravano nuovi ora che li percorreva a piedi, lentamente. Ciò che era solito scorrere veloce, come sfondo ai piccoli particolari che attiravano sporadicamente la sua attenzione, era divenuto fermo, quasi immobile, e così chiaro, così distinto che gli sembrava di vivere con più lucidità. Mai quel labirinto di stradine, di canali, di ponticelli, gli era sembrato così vario, mai aveva notato la bellezza dei palazzi, mai aveva visto così tanti passeri volare specchiandosi nelle calme acque del naviglio.
Qualcosa però era realmente cambiato, il colore del cielo, degli alberi, delle acque aveva guadagnato un nuovo splendore, l’odore dei croissant appena sfornati, dei camini ancora caldi dalla notte passata, persino quel terribile odore inquinato, tipico delle mattine invernali erano cambiati, ma non erano semplicemente diversi, erano decisamente altri.
Si ritrovò al lavoro, salutò i colleghi quasi senza riconoscerli, i tratti dei loro volti, che gli erano sempre sembrati così familiari, ora erano in qualche modo confusi, quasi fossero ricordi slavati. Si rese conto che il mondo che lo circondava non era la solita realtà. Colori innaturali e brillanti si sostituivano alle solite sensazioni opache ma, quello che lo spaventò più profondamente, fu la consapevolezza che qualcosa di più profondo era successo, qualcosa di incomprensibile aveva travolto il suo mondo. La realtà si mischiava alla fantasia in un vortice vertiginoso di simulacri e impressioni, meravigliose e crudeli, ma questo lui non poteva o non voleva ancora comprenderlo.


Marzo 2004