26 settembre 2007

L'arrivo

non c'è che il nero
nell'estranea notte di tolosa
ed è col buio che i fantasmi
di mille anni risorgono...
qui s'apre un mondo, comincia una città
che sarà immensa un giorno, un reticolo
di facce e di ricordi,ma che ora
è soltanto una finestra illuminata
davanti alla stazione.
ça va? que cherche tu donc? la vie, peut-etre?
le passanti masticano altre lingue
e sputano per terra frasi d'amore e guerra,
ma più forte dell'angoscia è la certezza
assoluta che anche tu sei qui:
Alea, i viaggi si fanno per cercarti
per scandire i vicoli del mondo
in passi cadenzati sempre uguali...
ed è il sapere la ricerca inestinguibile
che mi spinge pazzo, e scrivere dei versi
è l'unico modo che mi resta per resistere,
non ho altro.

16 settembre 2007

La peggiore delle pene

spesso da bambino
ripetevo all'infinito una parola
per provare la vertigine di ucciderla
farla divenire un suono senza senso.
tanti verbicidi ho accumulato
in quegli anni terribili di noia
da farmi condannare alla peggiore delle pene:
ripetere il tuo nome all'infinito, Alea,
e ogni volta di te perdere qualcosa.
Quando la mia pena sarà estinta

di te solo il nome rimarrà, Alea,
come una dolce melodia onirica al risveglio

12 settembre 2007

III

Incastrata tra le lastre del selciato
e i binari del trentatré
poco distante dalla casa dove abiti
c'è una piccola foto che ti ritrae,
ogni volta che ci passo con la bici
le mie ruote la calpestano,
ogni volta cerco di aggrapparmi
con lo sguardo a quel secondo,
ma ogni volta
perdo l'attimo e tu sfuggi tra le lastre
in un tempo parallelo inarrivabile.

11 settembre 2007

II

Quando ho estratto
dal mazzo delle carte la missione
ho impiegato un secondo lungo un lustro
per capire il vincere impossibile
coincidendo il successo e la tua morte.
Da allora gioco un risiko da stronzi,
rintanato in kamchatka per esistere
ammirando trasognato il viola dei tuoi carri
occupare, piano piano, tutto il mondo.

Trittico marico ad Alea

I

Quando stamane ti ho vista alla stazione

mi è sembrato subito di scorgere
nell'oscillare della tua gonna colorata
le parole che ancora non avevo.
Poi ti ho rivista, alla mezza, nel cafè,
e ho giocato coi tuoi morsi di panino
al sacro gioco del m'ama non m'ama.
Dovevo arrivare al pomergiggio
e incontrarti trafelata sulle scale
per capire dai tuoi passi affaticati
che quello era il momento
e che l'avrei perso. E ora,
il cafè è una muta serranda d'alluminio,
in stazione riposano i barboni
e io aspetto chissà cosa sulle scale
con la testa tra le mani.

4 settembre 2007

Stufo degli occhi fissi per terra…

Sono cresciuto tra mura spesse un centimetro
tra tetti più alti del sole.
E ora guardo il mio cielo
biancochiazzato di nera fuliggine,
e le nuvole che sostano pigre,
ammassate l’una sull’altra
in una soffice orgia di amplessi tonanti,
che per me è un delirio,
e non mi lascia neppure un secondo il deliquio,
la terribile angoscia del soffocamento.