23 aprile 2007

Il sistema periodico di Primo Levi

Il 12 ottobre 1974, in uno studio parigino, risuonava il ticchettio metallico della macchina da scrivere di Italo Calvino, sulla carta quei suoni creavano non solo l’ulteriore testimonianza di un profondo rapporto d’amicizia intellettuale tra il mittente, Italo Calvino, e il destinatario della missiva, Primo Levi, ma iniziavano a creare anche l’embrione del giudizio critico che ebbe successivamente il libro. Esattamente un anno dopo veniva dato alle stampe Il sistema periodico. Sulla copertina, la cascata perpetua di Escher era l’indizio del principio unificatore della raccolta, il paradossale e infinito cammino della materia, dipanato poi compiutamente nell’ultimo e nel più bello dei racconti che la compongono: Carbonio. Quella lettera ovviamente non nasceva dal caso, Calvino e Levi molto avevano in comune. Oltre all’essere due delle personalità più interessanti della letteratura del novecento italiano, condividevano la profondità e l’estremo rigore concettuale, nonché l’attitudine alla speculazione scientifica. Uno fu un chimico e l’altro un letterato ma ebbero entrambi lo stesso, profondissimo interesse per la materia, per il mondo e per la sua comprensione. Il fatto che per Primo Levi questa comprensione sia partita dagli atomi e per Italo Calvino dalle parole è trascurabile. Le loro strade, iniziate separate, si incrociarono col passare del tempo nel territorio della narrativa. L’ispirazione scientifica della raccolta è resa già evidente fin dal titolo ed è confermata dalla struttura: ventuno brevi prose ciascuna intitolata ad un elemento della tavola periodica e ad esso collegata, ventuno prose che ripercorrono la vita del chimico e dell’uomo, dai banchi della gioventù universitaria negli anni del fascismo, attraverso la dura esperienza della guerra e della deportazione (argomento per questa volta solo accennato, ma mai, come è ovvio che sia, messo da parte), alla rinascita nella difficile Italia del dopoguerra. Ma le storie che Levi racconta non si fermano all’autobiografia, la oltrepassano, la superano, perché Levi, narrandole, non perde l’occasione di dimostrare la sua straordinaria capacità di scavare in profondità nel mondo in cui vive, mostrando quell’atteggiamento verso il mondo e la materia che chiamare positivista sarebbe sbagliato, ma che da lì, dalla scienza e dalla ragione, prende le mosse. Tutto ciò attraverso una prosa efficace, mai esagerata, aderente e precisa, perché un’altra delle capacità di Primo Levi l’alchimista è quella di saper maneggiare le parole come fossero atomi e particelle, unite tra loro da legami necessari, profondi e mai inutili.