23 settembre 2008

"Dreams with sharps teeth" di Erik Nelson

A scorrere la biografia di Harlan Ellison si ha l'impressione di avere a che fare con un gigante della letteratura contemporanea, con uno spietato ed inarrestabile critico della società, con un fine provocatore, con uno stronzo. Ma l'Harlan Jay Ellison che emerge dal documentario di Erik Nelson "Dreams with sharp teeth", sembra essere molto di più, sembra appartenere a quella rara categoria di uomini che non appartengono a nessuna categoria, la cui intelligenza prende le mosse, sempre e solo, dalla più limpida onestà intellettuale e dalla più alta fedeltà a sé stesso.
Il documentario di Nelson, in anteprima italiana al Festivaletteratura di Mantova, ripercorre la vita di Ellison a tutto spettro, quasi sempre proprio dal suo punto di vista, quello stesso punto di vista, tagliente e ironico, che sempre ha caratterizzato questo piccolo (solo di statura) ebreo ateo di Cleveland. Questo è il suo pregio.
Dagli anni '40, quando, piccola canaglia rompicoglioni, si faceva pestare fuori da scuola dai bulli del quartiere, attraverso gli anni della maturità e della scrittura (quasi mezzo secolo dagli inizi newyorchesi ad oggi), quando di tutte quelle botte si vendicava, assegnando ai "cattivi", in ognuno dei suoi sogni su carta da cento battute al minuto, proprio quei nomi, quasi come se con ognuno dei suoi personaggi avesse un conto aperto, una faccenda personale.
E intanto che la sua faccia si alterna sullo schermo, intercalata da quelle di alcuni di coloro che in tutti questi anni lo hanno conosciuto (compreso un Robin Williams che, abbandonati i panni di peter pan, assomiglia finalmenente a se stesso) qualcuno in sala ride a crepapelle.
Purtroppo (o forse per fortuna) Ellison, condannato sullo schermo a ripetere il copione, non ha il tempo di scendere in sala, tra il pubblico, per ricordare a questi incauti spettatori dalle risate farisee quanto sia scomodo avere la mano potente di un piccola canaglia di 74 anni serrata sulla gola, e quanto faccia male (o bene ogni tanto) sentirsi ricordare l'esatte dimensioni della propria piccola idiozia.