13 agosto 2008

Note sul ruolo politico dell'Arte

(pubblicato sul numero 9 di El Aleph - ottobre 2008)

“L'arte, la letteratura, la poesia, sono una scienza
proprio come la chimica è una scienza.
Il loro campo è l'uomo, l'umanità, l'individuo.”
Ezra Pound, 1913

Chiedersi quale sia oggi il ruolo politico dell'arte è trovarsi di fronte ad una serie di problematiche che mettono in discussione non solo lo stesso significato di Arte, ma anche il significato dell'intera nostra società, la società dello spettaccolo.
Quale sia la definizione odierna di Arte è la prima di queste problematiche.
Quella che noi chiamiamo Arte (e intendo l'arte moderna e postmoderna, l'arte all'epoca della sua riproducibilità tecnica, figlia della deflagrazione estetica primonovecentesca, nipotina di Charles Baudelaire) è una categoria i cui confini si sono allargati fino a sparire; per questo la definizione di atto artistico si fa di giorno in giorno meno netta, più vacillante, arrivando a confondere spesso arte e non-arte.
La definizione di Arte a cui cercherò di attenermi è la seguente:
L'arte è un atto comunicativo biunivoco che mette in relazione due soggetti, uno individuale, l'artista, e uno collettivo, il pubblico e il cui universo è la finzione. Questo atto comunicativo prevede, per esistere, da una parte, l'esistenza di un autore mosso da una volontà, pressupposta libera e intenzionale, di creare un oggetto la cui importanza a livello della forma sia almeno pari, se non maggiore, a quella del contenuto; dall'altra l'esistenza di un pubblico, eterogeneo nel tempo e nello spazio, il cui libero arbitrio, vale a dire la libertà di percepire l'oggetto come un oggetto artistico o meno, non sia in alcun modo compromesso. Il baricentro significante di questo atto comunicativo, è un messaggio che si attiva solo all'avvenuta convergenza delle due direzioni soggettive. Questo messaggio è l'opera d'arte.
Tra le righe di questa definizione credo di intravedere alcuni punti fermi dalle conseguenze decisive per questo discorso.
Il primo è che la natura libera di entrambi i gesti prevede la natura libera del loro risultato. Al momento dell'attivazione del messaggio, cioè alla convergenza dei due soggetti verso l'oggetto, sia il gesto dell'autore che quello del pubblico sono permeati di libertà, rispettivamente di pensiero e di giudizio. Da questo deriva necessariamente lo stretto legame che l'arte ha, che deve avere, con la verità, la verità soggettiva intendo, in qualche modo quindi, con l'onestà.
Vale a dire che l'Arte, così come il suo contenuto, deve essere libera e indipendente, ma ciò non implica assolutamente che l'arte non possa avere una componente politica, tutt'altro, è a lei per prima, proprio in quanto massima espressione della libertà individuale, che spetta la funzione sociale della critica, critica dell'uomo, della società e del potere.
Ezra Pound in un suo articolo del 1914, forse portando avanti una tesi simile, arriva ad affermare che l'arte inaccurata, l'arte disonesta, è immorale perchè dipinge gli uomini per quello che non sono. Per il momento vorrei che il mio discorso si fermasse un po' prima, senza coinvolgere le categorie delicate della morale, dalle quali fortunatamente l'arte moderna si è liberata.
Il secondo punto fermo è più sottile (sempre che io non confonda la sottigliezza con la soggettività) ed è legato proprio all'essenziale onestà del messaggio artistico. Esso prevede che l'arte sia in qualche modo un gesto inutile, e quando dico inutile non intendo superfluo o contingente, intendo gratuito, disinteressato, come lo può essere l'amicizia o l'amore, vale dire non legato all'utile, non dipendente da una finalità pratica.
Un'altra considerazione: il primo attributo dell'arte, di qualsiasi tipo di arte, è la finzione, è proprio per questo motivo che l'arte, in fondo e in un modo molto particolare, è verità. Questa mia certezza trae la sua origine e la sua forza da tre fatti: il primo è sicuramente la mia eccessiva frequentazione di Borges, il secondo è un passo della Republica di Platone, in cui il greco afferma che il mito (ma io leggo: l'arte) è, nello stesso tempo sostanzialmente, falso, in quanto composta dalla fantasia, ma anche essenzialmente vera, perchè basata su modelli della realtà e degli uomini la cui verità, se l'Arte è veramente Arte, è indiscutibile. Il terzo è un frase di Franz Kafka che ho letto qualche tempo fa, citata in qualche libro che non ricordo: “La verità è indivisibile, perciò non può riconoscere se stessa; chi vuole riconoscerla deve essere menzogna.”.
La conseguenza di tutto ciò è che l'arte è un'espressione la cui verità si pone al di là della verità, il cui mondo è al di là del mondo.
La stessa idea di superamento, questa volta applicata alla matematica, appare a 7 anni dalla morte del ceco, ad opera di un altro cecoslovacco, Kurt Godel, che nel 1931, attraverso l'enunciazione dei suoi teoremi dell'incompletezza, prima sospettò e poi verificò l'impossibilità per un linguaggio di definire sé stesso.
La verità per spiegarsi ha bisogno di uscire da sé stessa e farsi finzione.
Le conseguenze di tutto ciò sul ruolo politico che l'arte può assumere sono molto interessanti.
La prima conseguenza riguarda l'essenza stessa dell'arte quando viene a contatto con la politica: è sufficiente infatti che uno qualsiasi dei componenti della comunicazione perda la sua libertà e la sua gratuità, per fare sì che l'intero atto comunicativo non sia più definibile Arte, ma che sia piuttosto un'altra cosa. Non mancano gli esempi storici di ciò che sto dicendo.
Prima di diffondersi in tutti i paesi allineati al comunismo sovietico, in Russia, dagli anni trenta del secolo scorso, si diffuse una modo di fare letteratura, un modo cioè di comunicare un interpretazione del mondo, che non era più dettato dalle scelte estetiche dei singoli scrittori, bensì era loro imposto dal Partito, vale a dire dal potere. Questa tendenza letteraria, che alcune storie della letteratura registrano sotto la voce Realismo Socialista, proprio per l'ingerenza decisiva del potere (badate bene, sia essa esplicita, la censura, sia essa implicita, l'autocensura), perde ogni valore artistico: non è più libera, non è più indipendente, non è più disinteressata. Più che arte è propaganda.
In un modo che sospetto simile, in questo momento, nel nostro decadente mondo occidentale, al culmine di un processo di banalizzazione iniziato a metà del secolo scorso, il mercato culturale, grazie ad una fruttifera collaborazione tra la grande editoria, l'industria pubblicitaria e il mondo dell'informazione, è dominato da una tendenza letteraria che i critici registrano sotto il nome di letteratura d'intrattenimento, il cui fine è distrarre (dal latino “deviare”) le coscienze semplificando la realtà. In questo caso è messa in discussione sia la libertà degli autori, che hanno perso il proprio sguardo indipendente a causa del grande condizionamento (qualcuno direbbe schiavitù) esercitato dai grandi guadagni che il mercato offre loro, sia quella del pubblico, ormai divenuto massificato, senza più autonomia critica di giudizio, persa ormai nei meandri burocratici di un'istruzione a punti e nel terribile labirinto televisivo.
Mi sembra chiaro che in questo caso, l'ingerenza del potere (politico, sociale e culturale), edulcorando e stravolgendo la comunicazione tra l'artista e il pubblico, rende questo tipo di letteratura, questo particolare atto comunicativo, sia nel momento della produzione che nel momento della ricezione, non libero, non disinteressato, quindi non più definibile come arte, ma piuttosto come mistificazione della realtà, come inganno.
Questi sono alcuni esempi di pseudoarte che ha il solo fine di veicolare un messaggio politico attraverso la grande potenza comunicativa dell'arte. In questi casi quindi se forse si può parlare di ruolo politico della comunicazione, di sicuro non si può più parlare di arte.
È su un altro versante che l'arte, quella vera intendo, può e deve avere un ruolo politico, anzi necessariamente lo ha. Se l'arte vera è arte onesta, se è sincera analisi della realtà in tutte le sue forme, finanche alla realtà dell'immaginazione, allora essa ha sempre un ruolo politico perchè contiene un punto di vista indipendente sul mondo, direi una sana e autarchica ideologia, se solo la parola ideologia non fosse stata svuotata e stuprata da troppe generazioni di burocrati.
Ma quali sono gli esempi di questo tipo di arte? Qualche esempio? Alcuni romanzi di Stevenson, di Celine, di Kafka, alcuni saggi di Borges, di Pasolini, di Ezra Pound, alcuni film di Kubrik, di Leone, alcune installazioni di Cattelan, alcune foto di Cartier-Bresson, alcune canzoni di De André, alcune altre dei Radiohead.
Il ruolo politico dell'arte, dunque, sta proprio nell'essere arte, arte disinteressata, arte onesta, l'arte il cui campo è l'uomo, l'umanità e l'individuo.