20 ottobre 2009

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come un esule su un'isola deserta
ogni mattina guardo i flutti tumultuosi
e aspetto
un naviglio che mi porti la notizia
del dittator la dipartita

Non sparate sul pianista

se avessi due pistole
una cartucciera legata in vita, una camicia
gialla come il deserto e un amico
di nome Kit Carson
vi giuro che verrei a cercarvi
in ognuna delle camere del saloon
ma visto che mi tocca intrattenervi
mi accontento del cartello alle mie spalle
che vi vieta di sparare sul pianista

Primo abbozzo di misti civili

Se Italia da Talia derivasse,
musa incontestata dell'ironia,
potrei osservarvi, dall'alto, pronto al riso,
come si osserva
una commedia da due soldi.
Ma siccome l'etimologia non è
scienza delle merendine e Italia
dall'omonimo popolo
di schiavi senza orgoglio prende il nome,
due sono le scelte che mi restano:
o richiedere incazzato i soldi del biglietto
o scendere di corsa dagli spalti,
sfoderare il mio coltello più bello,
e incidervi a sangue sulla fronte
il marchio dell'infamia.
Muterebbe finalmente in dramma
ciò che da tempo ha smesso
d'esser commedia.

13 ottobre 2009

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Tra le infinite storie
che la Storia dimentica o distorce
c'è la fine rocambolesca di un uomo
che a sprezzo di qualsiasi logica
scelse per sè il destino peggiore:
quello del baro neofita
che senza saperlo si siede al fianco
del più veloce pistolero della contea
e che finisce la sua vita pentendosi
amaramente della propria idiozia.

8 ottobre 2009

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Nel diecimila avanti cristo, per vederti,
avrei dovuto affrontare in un mese
tre fiumi un monte e due pianure,
e sconfiggere
sei belve feroci a mani nude,
bagnandomi di sangue fango e morte.

Intorno all'anno mille, per vederti
sarebbe bastato un mulo spelacchiato,
un fiasco di buon vino
e una lama affilata per il lupo
che al valico mi avrebbe atteso.

Ad inizio secolo con due soldi
avrei avuto il mio posto in terza classe
e affrontato, per vederti,
qualche ora di immani vibrazioni
soffocando nel fumo e nel vapore.

E ora,
che le belve e i muli spelacchiati
sono archiviati per sempre dal progresso,
mi ritrovo come un pirla a vagare per i monti
in cerca di belve da affrontare a mani nude,
di lupi, di tracce di vapore
con una fiasca di vinaccio da due soldi
che mi rimbalza semivuota sulla coscia.

6 ottobre 2009

Alla cortese attenzione del direttore del TG1, Augusto Minzolini

Signor Augusto Minzolini,
cercando di mitigare la mia rabbia e il mio furore con un attimo di lucidità, le scrivo per cercare di spiegarle il profondo disagio che mi ha causato l'aver assistito alle ultime edizioni della testata che lei dirige.
E' indegno per un giornalista come lei, nascondersi dietro parapetti inconsistenti di falsità senza vergogna, schegge di pura follia che lei estrae dal cilindro ogni volta che prende parola con i suoi editoriali; è indegno per un giornalista come lei manipolare e far manipolare la realtà che tutti viviamo ogni giorno in modo così plateale, praticamente a sfregio dell'intelligenza dei suoi ascoltatori.
Spero che almeno nell'angolo più remoto della sua anima, quello più intimo e isolato da tutto, quello cui solo la sua coscienza ha accesso, almeno in quel micro punto del cosmo che solo le appartiene, lei provi vergogna, onta e miseria. Perché è questo che lei rappresenta, o meglio, che ha scelto di rappresentare agli occhi dei posteri, un misero, uno schiavo, un monumento alla mediocrità e al lerciume.
Se fossi cristiano pregherei per la salvezza della sua anima, ma visto che non lo sono mi posso permettere di mandarla al diavolo e giurare che per tutta la vita farò tutto ciò che mi è possibile, tutto ciò che le forze mi consentiranno per lottare contro persone come lei e contro quello che rappresentate, vale a dire un insulto all'intelligenza di noi tutti.
So che lei non leggerà queste mie parole, so che questa mail finirà, al meglio, nella casella del suo spam, ma se il dio del caso, che a scapito delle sue speranze qualche volta assiste, farà in modo che queste mie parole raggiungano gli occhi e le orecchie di qualcuno che quotidianamente ha a che fare con lei, anche solo ad uno dei suoi collaboratori, stagisti, assistenti, redattori, galoppini, spero che la mia rabbia possa passare anche in uno solo dei loro sguardi e quando lei, sempre per caso, incrocerà quegli occhi e con loro, questa rabbia, senza saperlo neppure, troverà i miei.
Le auguro quanto prima di rendersi conto della sua piccolezza, le auguro, prima o poi, di provare vergogna per se stesso, le auguro di cambiare,
con estrema tristezza,
Andrea Coccia

(inviata via mail alla direzione del TG1 in data 6 ottobre 2009)

5 ottobre 2009

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Li sento mitragliare dal balcone
i trapani dalle punte di tungsteno
che sfibrano le mura di Milano,
che dall'alba al tramonto corrodono
le nostre ore.
Come barbari ci assediano
tentano di prenderci per fame
scavano, traforano, s'intrufolano
finché un giorno, alla fine, arriveranno.
Sarà un giorno infausto. Busseranno
ad ognuna delle nostre porte
col sorriso di colui che è sicuro
di vincere in partenza.
E non ci guarderanno negli occhi
come quell'infame pistolero
che nella polvere e nel vento non guarda
gli occhi dell'uomo che ha sfidato
perché ne sa scarica l'arma al cinturone.